A seguire il comunicato stampa sull’iniziativa di ieri. E il link dell’articolo sull’HuffingtonPosthttp://www.huffingtonpost.it/2015/12/06/protesta-giovani-pensioni_n_8731772.html?utm_hp_ref=italy#
Indossando provocatorie barbe finte e sbandierando un grande assegno da 300 euro, i rappresentanti dell’organizzazione giovanile delle Acli hanno voluto rispondere così alle proiezioni del Presidente dell’Inps Tito Boeri sulle prospettive di pensionamento della generazione ’80“Il futuro è già qui – ha spiegato il coordinatore nazionale dei Giovani delle Acli Matteo Bracciali – ed è necessario che si prenda carico da subito del sistema previdenziale delle nuove generazioni: è impensabile dare una prospettiva di vita serena ad un giovane che dovrà lavorare fino a 75 anni per prendere poi 300 euro di pensione”
I Giovani delle Acli, con il supporto di Patronato Acli e Fap Acli, hanno ricostruito in un documento le origini dell’attuale sistema e gli effetti che esso comporta sui giovani.
Il sistema di calcolo contributivo introdotto dalla riforma Dini del 1995 ha realizzato il concetto di trasformazione in pensione del capitale virtuale accumulato durante la vita lavorativa, al fine di garantire l’equilibrio e la sostenibilità del sistema previdenziale; ma non ha saputo prevedere i fattori della crisi economica che oggi, molto più che in passato, incidono negativamente, specie per i giovani, nella costruzione della propria futura pensione.
Anzitutto, il tardivo ingresso nel mondo del lavoro e carriere lavorative caratterizzate sempre più da una forte discontinuità non consentono di garantire una piena copertura contributiva lungo l’arco della propria vita attiva. Dall’altro la crescita troppo debole del Pil durante questi anni segnati dalla crisi non è in grado di assicurare un adeguato tasso di rivalutazione del risparmio previdenziale accantonato negli anni (il c.d. montante pensionistico individuale).
Per effetto di questi due elementi un trentenne di oggi alla fine della propria carriera lavorativa potrà contare su un trattamento pensionistico non superiore al 62% rispetto alla retribuzione oggi percepita (“tasso di sostituzione”).
Al resto ci ha pensato la riforma delle pensioni del 2011 (riforma Monti-Fornero) che, con il dichiarato obiettivo di conseguire un risparmio nella spesa pensionistica, ha previsto un generale differimento del diritto al pensionamento. Ha stabilito, infatti, un rigido innalzamento dei requisiti anagrafici e contributivi per l’accesso alle pensioni, legandoli ad un meccanismo che nel corso degli anni li adegua costantemente agli incrementi della speranza di vita.