Archivi giornalieri: 24 dicembre 2015

Un 2016 di pace

di Matteo Bracciali – Coordinatore Nazionale Giovani delle ACLI

La fine dell’anno è sempre un tempo di bilanci su quello che siamo stati, su quello siamo e su quello che potremo essere. Noi lo abbiamo fatto pochi giorni fa nella nostra Agorà. Forse era meglio una bella immaginetta con abete stilizzato ma, controcorrente, preferisco chiudere questo anno lanciando qualche spunto di riflessione per il tempo che verrà. A seguire troverete la mia relazione  che ha chiuso l’Agorà e che apre un 2016 di impegno e, speriamo di pace.

Buon Natale e felice anno nuovo!!

 

Un grande compito abbiamo sulle spalle. Papa Francesco nel Convegno Ecclesiale di Firenze esorta la nostra generazione ad essere protagonista del proprio futuro, a non guardare le cose accadere.E non puo’che essere cosi’, in un mondo che ha bisogno ora piu’ che mai di rivoluzioni.“Il futuro non esiste, va creato” spiega Zygmut Bauman, e quel futuro passa per le scelte che compiamo ogni giorno.

Abbiamo dedicato questo anno alla questione che sta alla base della nostra civiltà, della nostra ispirazione che e’ quella dell’accoglienza e del rispetto verso l’altro. “Noi, l’altro e l’Europa”, titolo anche dell’Agora’ 2015, purtroppo e’ stato quanto mai profetico.

L’Europa che diventa palcoscenico di una guerra che sembrava lontana da noi, quella per l’egemonia culturale e politica nel mondo islamico, che ha scosso le nostre coscienze e ha messo a dura prova la coesione sociale in un contesto fatto di integrazione costruita molto spesso sulla segregazione e sul pregiudizio.

L’attentato di gennaio alla liberta’ di espressione compiuto nella sede di Charlie Hebdo e quello alla quotidianita’ al Bataclan sono il frutto del peggior terrorismo di sempre, che seleziona con cura i bersagli piu’ evocativi e utilizza la religione come paravento ad interessi ben piu’ terreni e come missione per deboli in cerca di una soluzione sbagliata e radicale alle proprie frustazioni. Non e’ un caso che gli attentatori fossero tutti in eta’ GA, per intendersi. Sono le seconde generazioni cresciute ai margini della società’ neoliberista che, come spiega molto bene Hanif Kureishi, “non desiderano identificarsi con gli occidentali e che danno una risposta in termini di identita’ costruendone una fascista: cioe’ voglia di risposte pronte, di autoritarismo, di bisogno di colmare un vuoto.”

Una provocazione molto interessante, perche’ chiede di riflettere su quale modello di integrazione delle opportunita’ costruire la nostra comunita’ e, non a caso, ripartiamo dal concetto di Europa e di cittadini europei per tenere legate le differenze alla solidarieta’ tra popoli.

Giovani sono state le vittime dei massacri, giovani sono stati i carnefici. Le condizioni perfette per aizzare le campagne di opinione a favore della teoria della guerra tra civilta’, come se chi imbraccia un fucile ed entra sparando in una discoteca potesse farsi portatore di valori. I terroristi rimangono tali anche se lo fanno con il Corano in mano ed e’ profondamente sbagliato renderli testimoni di un popolo. I veri testimoni sono quelli che hanno messo la faccia in piazza per denunciare chi strumentalizza la fede e la rende causa di morte.

Alcuni hanno addirittura additato i fenomeni migratori alla base di queste tragedie, come se chi scappa dalle guerre civili in Siria, in Libia e in tutte le aree piu’ o meno conosciute (sono 27 gli stati africani sconvolti da conflitti interni) e cerca speranza in Europa fosse marchiato dall’indelebile colpa di essere diverso e per questo un pericolo.

“Quando gli albanesi eravamo noi” e’ il titolo di un libro molto interessante scritto da Gian Antonio Stella che racconta, attraverso le storie degli italiani che cercarono fortuna nel Stati Uniti, di quando il pericolo siamo stati noi, di quando gli italiani erano considerati alla stregua dei ratti, di quando Sacco e Vanzetti furono giustiziati sull’altare del pregiudizio. Oggi in America si ricordano, invece, la straordinaria lungimiranza di Mario Cuomo, governatore dello Stato di New York per piu’ di 10 anni, Antonio Meucci o, piu’ prosaicamente, Primo Carnera straordinario pugile.

I fenomeni migratori hanno costruito civilta’. E pensare di poterli fermare e’ una illusione e un grande errore. Le istituzioni europee hanno un grande compito su queste questioni che stanno svolgendo, purtroppo, a meta’ perche’ la concorrenza con i governi locali crea notevoli problemi di corresponsabilita’ e di conseguenza, di mancate decisioni.

Come e’ possibile pensare di gestire questi fenomeni epocali basandosi sulla buona volonta’ degli stati sovrani? Come si puo’ rispondere agli attacchi subiti in questo anno dal terrorismo senza un esercito europeo? Come si puo’ combattere la disoccupazione giovanile senza una normativa comune per tutta l’area economica dell’Europa?

La costruzione di una Europa a due, tre o quattro marce non ci convince. La segregazione che subisce chi viene da una terra lontana e’ sempre piu’ simile a quella che esiste tra chi puo’ sfruttare le opportunita’ di mobilita’ europea e quindi si colloca in un mondo del lavoro molto selettivo ma molto vasto, rispetto a chi, per motivi geografici o demografici, ha subito la fase di decrescita economica come la fine di ogni speranza. I NEET infatti sono orami un numero quasi indefinibile (in Italia 4 milioni) e fuori da ogni rete sociale. Le serie di dati di questo anno, legata alla crescita economica, ci disegnano un quadro positivo rispetto agli anni passati ma ancora molto lontano da una situazione sostenibile: il 40% dei giovani fuori dai percorsi di formazione e’ senza lavoro, rispetto al 13% complessivo.

Un dato che ci fa riflettere su tutte le discussione fatte sulla riforma del lavoro, utile ad estendere ammortizzatori sociali e diritti a chi prima non ne aveva (vedi collaboratori a progetto) ed a iniziare un percorso di uniformazione dei contratti di lavoro, ma insufficiente per natura a risolvere il problema dello sviluppo economico. Senza parlare della situazione della prospettiva previdenziale per i lavoratori delle nostre generazioni. Oggi lo facciamo con leggerezza, manifestando davanti alla sede dell’INPS come una generazione già invecchiata e consapevole del futuro incerto, domani basterà la vita reale a drammatizzare. Non si può più discutere di questi temi una volta ogni 4 anni, come le olimpiadi, per poi tenerlo chiuso in un cassetto. Il futuro è già qui perché se non mettiamo mano immediatamente alla sostenibilità del sistema pensionistico vedremo scivolare gran parte della popolazione in una situazione di indigenza gravissima. Il sistema di calcolo contributivo introdotto dalla riforma Dini del 1995 ha realizzato il concetto di trasformazione in pensione del capitale virtuale accumulato durante la vita lavorativa,  al fine di garantire l’equilibrio e la sostenibilità del sistema previdenziale; ma non ha saputo prevedere i fattori della crisi economica che oggi, molto più che in passato, incidono negativamente, specie per i giovani, nella costruzione della propria futura pensione. Anzitutto, il tardivo ingresso nel mondo del lavoro e carriere lavorative caratterizzate sempre più da una forte discontinuità non consentono di garantire una piena copertura contributiva lungo l’arco della propria vita attiva. Dall’altro la crescita troppo debole del PIL durante questi anni segnati dalla crisi non è in grado di assicurare un adeguato tasso di rivalutazione del risparmio previdenziale accantonato negli anni (il c.d. montante pensionistico individuale).

Per effetto di questi due elementi un trentenne di oggi alla fine della propria carriera lavorativa potrà contare su un trattamento pensionistico non superiore al 62% rispetto alla retribuzione oggi percepita (“tasso di sostituzione”).

Al resto ci ha pensato la riforma delle pensioni del 2011 (riforma Monti-Fornero) che, con il dichiarato obiettivo di conseguire un risparmio nella spesa pensionistica, ha previsto un generale differimento del diritto al pensionamento. Ha stabilito, infatti, un rigido innalzamento dei requisiti anagrafici e contributivi per l’accesso alle pensioni, legandoli ad un meccanismo che nel corso degli anni li adegua costantemente agli incrementi della speranza di vita.

Tra l’altro dovremo iniziare a guardarci intorno: mentre la discussione generale si concentra sul modello economico legato ad produzione di beni e servizi fordista o, nel migliore dei casi, postfordista, nel resto del mondo si dibatte su come affrontare la questione dei diritti per chi vive sulla propria pelle la sharing economy. Uber, Amazon e altri colossi dell’economia digitale stanno costruendo rapporti lavorativi eterei, dove nulla e’ garantito se non il bonifico a fine mese, fuori da ogni controllo e da ogni legislazione.

Gli “uworkers” hanno gia’ iniziato alcune battaglie ma poco assistiti perche’ non rappresentati nella base associativa dei sindacati tradizionali.

Riparte da qui il nostro impegno associativo.

Le associazioni giovanili vivono rivoluzioni continue ed hanno bisogno per dare rappresentanza ad una generazione che cresce e cambia con il contesto che la circonda di essere reattiva ai nuovi bisogni e sappia coltivare e promuovere l’impegno dei ragazzi che scelgono di farne parte.

Partiamo dal tema della rappresentanza. La disintermediazione della relazioni interessa tutti i corpi intermedi, dai sindacati ai partiti, ma noi in particolare. I movimenti giovanili sono utili nella misura in cui sensibilizzano e tutelano le generazioni che sono chiamate a rappresentare. Per fare questo non e’ piu’ sufficiente provare a costruire appartenenza attraverso la semplice enunciazione dei valori ai quali ci richiamiamo nella costruzione delle comunita’. Abbiamo bisogno piu’ che mai di testimoni, di opinion leader che si prendano carico del problemi dell’altro, che siano in prima linea nelle discussioni sociali e politiche locali e nazionali, che siano “promotori di passione civile”. La rappresentanza non e’ piu’ delegata alla sigla dell’associazione ma al lavoro quotidiano sui territori, alla progettualita’ locale ed agli strumenti di discernimento, come spero sia stata l’Agora’ di questo anno, che il livello nazionale costruisce.

Un esempi di azione sociale: sempre piu’ ragazzi si informano sui social network, senza alcuna protezione in termini di affidabilita’ e fastchecking dei siti e dei profili che visitano. Perché non provare a bonificare quel campo minato?  Una operazione verita’ su scala nazionale che opera sulle finte notizie, create ad arte per promuovere allarme sociale.

Meno struttura e piu’ azione e confronto. La scelta di rivedere lo statuto per rendere piu’ semplice la formalizzazione del nostro impegno ed il passaggio da “segretari” a “coordinatori”, al netto dei problemi di forma, non solo toglie nulla alla nostra autonomia all’interno del sistema, ma ci lega molto di piu’ alla nostra missione di raccolta dell’impegno locale con uno sguardo profondo sui temi di carattere nazionale ed internazionale.

Il nostro movimento ha bisogno anche di condivisione con le altre realta’ di impegno giovanile. Su punto questo saro’ molto franco: come noi, anche chi dovrebbe raccogliere la voce delle associazioni giovanili dovrebbe vivere quotidianamente il tema del rinnovamento delle forme di rappresentanza. Il Forum Nazionale dei Giovani, associazione di associazioni del quale siamo fondatori non e’ riuscito, nonostante l’impegno del portavoce uscente e nostro segretario Giuseppe Failla, a riformarsi nel verso della modernita’ e della semplificazione. Il congresso appena celebrato ha visto le associazione cattoliche Azione Cattolica, Coldiretti, Agesci, Fuci, GA e CSI non partecipare ai lavori proprio per la mancanza di presupposti culturali necessari perche’ si possa ricominciare un percorso gia’ di per se’ complicato. Nessuna discussione sulla riforma dello strumento e dialogo tra le associazioni, anche in un fase congressuale delicata ma inesistente. Siamo convinti che dobbiamo continuare nella costruzione di una rete che tenga insieme le realtà di generazione ma essere costruita sull’interlocuzione con le istituzioni e sulla costruzione di campagne di opinione condivise, magari accantonando le logiche elettive degli organi direttivi, proponendo la rotazione delle associazioni alla guida del forum proprio per focalizzare i nostri sforzi sui contenuti e non sulle cariche. Continua comunque con questi capisaldi il nostro impegno verso la costituzione del Consiglio Nazionale del Giovani, perche’ e’ su questo che abbiamo provato a fare anche nel nostro piccolo una piccola rivoluzione.

Il sito giovanidelleacli.com e’ ormai una realta’ conosciuta e riconosciuta da tutte le nostre realta’ territoriali ed i social media gli strumenti per dargli respiro e risonanza. La nostra comunita’ cresce gli interventi sul sito che raccolgono la voce dei coordinatori, dei ragazzi in servizio civile in Italia ed all’all’estero e’ utile per tenere sempre un profilo di discussione alta e costruttiva.

Ora dobbiamo consolidare la nostra rete e renderla sempre piu’ nazionale. Per questo abbiamo invitato all’Agora di questo anno molti volontari di servizio civile. Non dobbiamo mai dimenticare che la rigenerazione associativa e la costruzione di cittadinanza attiva passa da quanto saremo attenti nel coinvolgere i ragazzi nelle nostre attivita’ e farli diventare protagonisti di altre perche’ la bugia che ci raccontiamo dei pochi giovani dentro l’associazione ha le gambe cortissime. Il vero problema non e’ portarli in sede, farli amici su FB o fargli condividere un post del sito, ma e’ quello di appassionarli all’impegno civile, a dargli la possibilita’ di poter cambiare le cose.

Su queste questioni fondamentali nella vita del nostro sistema associativo saremo chiamati ad esprimerci nel prossimo congresso nazionale delle ACLI. La nostra sara’ una posizione autonoma sui temi e sugli indirizzi che le ACLI dei prossimi anni dovranno assolvere. Nella liberta’ di ognuno di noi nella scelta della dirigenza nazionale, costruiremo un alleanza con il movimento adulto per dare voce ai nuovi lavoratori e alle nuove famiglie che crescono in un contesto che non aspetta piu’ nessuno.

Si chiude così un 2015 sofferto e che ha riempito il mondo di interrogativi, correndo verso un nuovo anno senza certezze. Le nostre generazioni sono abituate a questo, alla sicurezza dell’insicurezza, ma anche la nostra azione quotidiana può essere un argine all’indifferenza, all’ignavia ed all’individualismo. E allora quando arriva Natale, visto che siamo tutti più buoni, voglio ringraziare tutti i coordinatori provinciali che si sono impegnati nei propri territori per una partecipazione consapevole a questo bellissimo incontro nazionale. In particolare però voglio ricordare il coordinamento nazionale ed i consiglieri nazionali GA che in questa prima fase della ricostruzione del movimento si sono messi a disposizione con l’atteggiamento del dono e del servizio. Li ringrazio perché Skype a volte fa i capricci, perché Whatsapp non è un Agorà, ma si sono sempre dimostrati occhi, gambe e cervello di questa avventura. Quindi, buon Natale e viva i Giovani delle ACLI.