Archivio mensile:gennaio 2016

Giocare d’attacco, da cristiani nella città: il mio punto di vista

di Marco Rovere

Le questioni toccate dal dibattito pubblico di questi giorni nell’imminenza dell’inizio della discussione parlamentare sul D.d.L “Cirinnà” hanno suscitato in me alcune riflessioni; da credente che è cittadino (cfr. Papa Francesco al Convegno di Firenze) sto cercando di comprendere la realtà dell’agone sociale, politico e culturale lasciandomi guidare, per quello che posso, secondo la mia sensibilità, dalla Parola di Dio, dal Magistero della Chiesa, dalla Costituzione della Repubblica, e, nel mio servizio nelle ACLI, dallo Statuto dell’Associazione; in questo orizzonte, e tra questi riferimenti, mi sembrano più che mai attuali i tratti del dialogo individuati da Paolo VI nell’ “Ecclesiam suam”- “chiarezza”, “mitezza”, “prudenza pedagogica”- che hanno come finalità “l’unione della carità con la verità, dell’intelligenza con l’amore”; quest’ultimo aspetto è stato pure ripreso da Papa Francesco nella “Lumen Fidei”. 

Questo paradigma di discernimento apre davanti a me alcune piste di riflessione. La prima riguarda il profilo di (il)legittimità costituzionale che secondo me presenta il D.d.L in oggetto: disponendo che alle unioni civili- i cui contraenti possono essere dello stesso sesso- si applicano le norme del Codice Civile (primo libro) sul matrimonio, crea un’antinomia rispetto all’art. 29 della Costituzione, così come anche interpretato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 138/2010, che riconosce come elemento peculiare e fondamentale del matrimonio la differenza sessuale dei nubendi. E’ presente, dunque, una violazione della Costituzione c.d “per norma interposta”, in cui il parametro è l’art. 29 della Costituzione e la norma interposta gli articoli del Codice Civile che regolano il matrimonio a cui rimanda il D.d.L “Cirinnà”. Un altro principio costituzionale che mi pare violato è quello di uguaglianza, che significa trattare in modo eguale situazioni eguali e in modo diseguale situazioni diseguali: ora, appare evidente come il matrimonio e la c.d “unione civile”, vuoi per la differenza sessuale dei contraenti, vuoi per il potenziale procreativo presente nell’uno e non nell’altra, sono situazioni diverse, che necessitano di norme diverse.

 

E queste norme diverse vanno fatte, il legislatore doveva, da tempo, adoperarsi con competenza per vararle, collocandole nel giusto ambito, che parte dall’art. 2 della Costituzione sulle “formazioni sociali”, passa per un principio generale dell’ordinamento che è quello dell’autonomia privata, e trova la sua declinazione nel libro quarto del Codice Civile su obbligazioni e contratto: e chi ha studiato un po’ di diritto sa che la “sedes materiae” è un argomento che contribuisce a chiarire il significato e la “ratio” di una disposizione.

 

Come cattolici, dovevamo fare delle proposte in questo senso e portarle in Parlamento, e qui vado a toccare un secondo punto: il luogo deputato alla discussione delle proposte legislative, in cui lavorare per questo, è il Parlamento, non altro. Se, però, come cristiani in Parlamento contiamo poco o nulla, è logica conseguenza che non riusciamo ad incidere sulle scelte di politica legislativa: se siamo veramente “lievito nella pasta” della società del nostro Paese, dobbiamo esprimere cristiani seri che portino le istanze dei rappresentati in Parlamento; se questo non succede, è perché siamo divisi. La prima cosa sincera che, da credenti che sono cittadini dobbiamo fare, è riconoscere questo, altrimenti faticheremo invano.

Ho notato, inoltre, che, in questi giorni, l’oggetto della discussione, che tocca una dimensione antropologica da custodire come un tesoro prezioso, sia diventato oggetto del contendere di opposte tifoserie, con vessilliferi assai discutibili, di strumentalizzazioni a buon mercato, che evidenziano come oggi sia difficile instaurare un dibattito serio ed approfondito, di cui dovrebbe essere capace una società libera, plurale e democratica, come si vanta di essere quella italiana.

 

Come credenti, penso che siamo, oggi più che mai, chiamati siamo chiamati a promuovere, senza arroccamenti difensivi, ma “giocando d’attacco” (cfr. Papa Francesco, Veglia GMG 2013 Rio) la bellezza di ciò in cui crediamo, la bellezza di una vita spesso segnata da tante fatiche, quelle fatiche- la difficoltà di trovare un lavoro, di trovare stabilità nelle relazioni interpersonali, di essere protagonisti in una società che sembra chiudere prospettive di giustizia e solidarietà alle nostre generazioni- a cui le Acli, di cui, seppur giovane, mi sento parte viva, ogni giorno dedicano la loro azione di promozione sociale. E lo dobbiamo fare anzitutto impegnandoci in prima persona in politica, “la forma più alta della carità” (G. B Montini ai fucini, 1931), che ci porta ad estendere la nostra capacità e il nostro di desiderio di amare- una parola citata non sempre a proposito in questi giorni- alla nostra comunità, al nostro Paese, al mondo intero, quell’amore che ha il suo paradigma nell’offerta pasquale di Gesù sulla Croce: lasciamoci plasmare e guidare da Lui, e sperimenteremo che stare con Gesù nella città è un dono bellissimo, coinvolgente, che ci cambia la vita. Tutto il resto passa.

 

 

 

 

 

Un passo avanti

di Matteo Bracciali – Coordinatore Nazionale Giovani delle ACLI

Migliaia di storie, due piazze, un decreto legislativo.

In poche parole il riassunto di un dibattito importante sui diritti civili, quelli richiesti dalle persone dello stesso sesso che decidono di condividere la propria vita. Fino a che punto la nostra comunità e’ pronta a riconoscere e a codificare, in termini normativi, l’amore “diverso”?

Partiamo dalle storie. Noi siamo sempre stati al fianco delle famiglie “diverse” che, sempre di più, hanno una connotazione generazionale: madri e padri single, giovani coppie senza certezze economiche sempre di fronte alla domanda “Ce la faremo con un figlio”, giovani genitori innamorati del proprio rapporto ma senza tempi familiari ormai rapiti dai nuovi lavori, giovani uomini e giovani donne che si amano in una società più libera ma non meno ipocrita.

Poi ci sono due piazze che queste storie le vorrebbero rappresentare. Nei comunicati, nei colori, nelle rivendicazioni. Una c’è già stata, quella della #svegliaitalia, che chiede più diritti per alcune delle storie che abbiamo descritto, con una pruriginosa retorica e un velato snobismo nei confronti di chi si pone domande legittime, di coscienza.
L’altra ci sarà domenica, quella del Family Day, una dimostrazione di forza dannosa perché mixa sinceri convincimenti, conservatorismo becero e strumentalizzazione politica in chiave antigovernativa.
Una cosa le accomuna: il fatto di dividere il campo tra chi è pro e contro senza se e senza ma, come se quelle storie di amore “diverso” fossero incompatibili tra di loro.
Perfetto, noi siamo incompatibili con quelle piazze, perché a noi piace prendersi carico delle ansie, delle difficoltà di chi si sceglie, di chi costruisce famiglia.

Un decreto. Il DDL Cirinna’ prova a dare una risposta in termini di diritti ad alcuni casi di amore “diverso”, e saremo molto chiari: siamo d’accordo quando si propone di riconoscere alle coppie omosessuali i diritti di reciproca assistenza e un regime giuridico, e pensiamo che sia giusto includere in quei rapporti i bambini che vivono dentro queste relazioni per tutelarli con lo strumento dello stepchild adoption. Senza mai travalicare, questo sì senza se e senza ma, una questione cruciale: quella della impossibilità di dare un valore alla vita, di pensare che sia possibile monetizzarla. Su questo siamo e saremo saldamente contrari. L’utero in affitto ed altre pratiche di surroga del diritto alla vita sono incompatibili con il concetto di dignita’.

Siamo sicuri che poi sarà il turno degli altri protagonisti delle storie che abbiamo raccontato perché non dobbiamo avere paura di rimanere indietro, ma di non andare avanti.

„Grüß Gott“ da Augsburg!

Vanessa e Antonello – Servizio Civile ACLI Germania

Siamo arrivati in Germania da qualche mese e sembra di essere qui già da molto tempo. Le prime settimane non sono state del tutto semplici; ti manca tutto dall’odore del caffe al mattino al traffico nelle strade, poi, con il trascorrere dei giorni cominci ad adattarti ai ritmi della quotidianità tedesca. Abituarsi a vivere in Germania non è stato semplice, complice la difficoltà nell’apprendere una lingua come il tedesco, è proprio per questo motivo ci si circonda spesso di connazionali. Basta guardarsi attorno per rendersi conto di quanti ragazzi italiani abbiano deciso di trasferirsi in Germania con la speranza di una vita migliore.

Tanti connazionali, come già quaranta anni fa, si lanciano nella ristorazione grazie a piccoli sacrifici fatti in Italia da loro stessi o dalle proprie famiglie; altri, anche laureati,   sperano semplicemente di vedere finalmente riconosciuti i propri titoli di studio così da ambire a posizioni più elevate. Il Patronato di Augsburg ci ha accolto bene dandoci supporto soprattutto con le difficoltà iniziali della lingua. Durante il nostro breve Servizio Civile abbiamo avuto modo di assistere a racconti di giovani e meno giovani che riscontrano difficoltà nell’inserimento nella società tedesca. Pochi di loro conoscono la lingua e così in molti casi si rivolgono al patronato.

Augsburg è davvero una città molto carina; il fruscio dell’acqua dei canali che attraversano la città, il profumo di Bretzeln e in occasione del Natale il profumo di Gluhwein inondano le vie del centro. Ancora i mercatini di Natale   fanno si’ che la nostalgia lasci il posto allo stupore delle deliziose creazioni natalizie degli artigiani bavaresi. Tracce del Barocco, del Rococò e, molto più tardi, dello stile liberty rendono speciale le passeggiate per le vie della città . Oggi come ieri Augsburg è circondata da una cerchia di mura di cui è possibile ammirare alcune parti ancora oggi. Il nostro percorso è solo all’inizio: Augsburg è ancora da scoprire…

 

Le luci di Parigi

di Milena Re – Servizio Civile ACLI Parigi

Arrivare nella splendida ville lumière è stato per me un rinnovato inizio di un’esperienza già intrapresa un anno fa che mi aveva segnato una prima volta, ma che adesso sta assumendo sfumature nuove e inaspettate.

Sono di nuovo a Parigi in qualità di volontario del servizio civile che sto svolgendo al Patronato Acli. Da poco più di un mese sono coinvolta in questa esperienza che mi sta permettendo di conoscere una realtà nuova, quella del patronato, e di apprendere dalla professionalità e competenza dei miei colleghi. Essere un volontario di servizio civile significa donare il proprio contributo, entusiasmo e dinamismo e mettere a disposizione le capacità personali.

Ogni giorno ho l’opportunità di incontrare i miei connazionali che un tempo emigrarono a Parigi e che oggi arrivano nei nostri uffici con tante necessità e richieste. Ogni volto porta con sé una storia diversa e ogni storia riflette svariate emozioni. Tanta è la voglia di ascoltare, conoscere, imparare e infine testimoniare ciò che si è appreso da ogni storia.

C’è oggi una nuova generazione di migranti, motivata da bisogni simili a quelli che spinsero i nostri nonni a migrare. La ricerca di punti di riferimento e la speranza di un futuro migliore sono le principali necessità di cui l’uomo ha avuto sempre bisogno e che oggi reclama fortemente.

Quella del servizio civile è un’esperienza di vita fatta anche di momenti difficili e di situazioni inspiegabili. Quello che sta accadendo questi giorni a seguito degli attentati terroristici è solo una brutta parentesi di una storia che deve avere tutt’altra fisionomia. Parigi, la Francia e il mondo intero non devono subire tutto ciò. Esprimo la mia sincera solidarietà a tutte le vittime e a tutti i loro cari.

Inoltre, la mia esperienza è solo agli inizi e il cammino è lungo e ricco di nuovi incontri. Se il servizio civile si presenta come un’opportunità per dedicare un anno della mia vita a favore di un impegno solidaristico e di coesione sociale, vorrei terminare citando le parole di Mahatma Gandhi il quale dice: “Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo ”.

L’immobile, unica alternativa al futuro.

Di Giuseppe Mulas – Presidente Assemblea Nazionale Giovani delle Acli

Da poco mi è capitato di riascoltare una canzone. I temi che tratta sono complessi e penso che prima o poi meritino di essere affrontati con serenità e concretezza, ma quello che mi ha spinto a fare questa riflessione è una frase contenuta nel testo che recita “non c’è alternativa al futuro”.Ecco, penso che questo concetto che prima o poi arriverà il futuro, che arriverà quella generazione di uomini e di idee che si prenderà sulle spalle l’Italia, dall’economia alla cultura alla politica e la tiri fuori dalla stagnazione, sia il concetto che sul lungo periodo rischia di farci naufragare. Perché l’alternativa al futuro esiste, è il presente, in tutto il suo immobilismo. Voglio essere chiaro, per immobilismo parlo di idee, di prospettive, ma anche di uomini, perché le idee hanno bisogno di gambe e braccia che se non sono fatte dello stesso materiale delle idee non possono riuscire a realizzarle compiutamente.

Ma questa non è una novità nella Storia, dove da sempre il presente si è contrapposto al futuro e da sempre ha perso perché le giovani generazioni di uomini e donne con nuove idee hanno combattuto e vinto la loro battaglia. Esempio di questo è tutto il periodo del degli anni 60 e 70, dove i ragazzi di quel tempo hanno combattuto ferocemente contro le generazioni precedenti per ottenere ciò che volevano, vincendo non solo sul piano del cambio della classe dirigente, ma del progetto culturale che portavano con se. E su questi presupposti la nostra società si è strutturata e si comporta: una classe dirigente che con le proprie idee si prepara ad una battaglia che vede sia come l’unico modo di selezione di una classe dirigente all’altezza, sia come il degno finale della propria storia che nasce da una battaglia vinta e finisce con una battaglia persa. Una battaglia che non solo è cosciente ma è felice di perdere – perché sa che è l’unico modo di poter garantire la sopravvivenza stessa del nostro Sistema – ma che vuole combattere, come ha combattuto anni fa dalla parte opposta. Numerosi sono gli esempi più o meno sottotraccia che posso portare a conferma di questa mia idea, scelgo il più chiaro e lampante, quando l’On. Capanna ha dichiarato “I giovani si meritano la pensione bassa perché non lottano”. Il bene comune non passa più per il diritto o il merito, ma per la lotta.

Ma purtroppo questo schema di contrapposizione sta mostrando le sue falle perché i giovani in Italia sono stanchi di lottare e forse non ne hanno neanche tanta voglia. Il mondo globalizzato offre enormi possibilità che eliminano il dover combattere, tramare, rovinare sonno, salute e amicizie per poter trovare la loro strada. Trent’anni fa mollare tutto e andare in Inghilterra o in Germania o negli Stati Uniti era un salto nel buio, ora è la normalità. E i numeri sempre crescenti di giovani con alti livelli di formazione scolastica e/o lavorativa che partono per non tornare testimoniano questo. Un’Europa e un Mondo attrattivo sono il peggior nemico di un’Italia che si ostina a vivere la società come gestione di potere e il merito come esito di scontri. Spero che la nostra classe dirigente lo capisca rapidamente e ponga le adeguate contromisure, perché il vero rischio è di aspettare una battaglia che non ci sarà mai perché l’esercito nemico è andato a vivere, non a battagliare, in un altro reame.