di Matteo Bracciali – Coordinatore Nazionale Giovani delle ACLI
Migliaia di storie, due piazze, un decreto legislativo.
In poche parole il riassunto di un dibattito importante sui diritti civili, quelli richiesti dalle persone dello stesso sesso che decidono di condividere la propria vita. Fino a che punto la nostra comunità e’ pronta a riconoscere e a codificare, in termini normativi, l’amore “diverso”?
Partiamo dalle storie. Noi siamo sempre stati al fianco delle famiglie “diverse” che, sempre di più, hanno una connotazione generazionale: madri e padri single, giovani coppie senza certezze economiche sempre di fronte alla domanda “Ce la faremo con un figlio”, giovani genitori innamorati del proprio rapporto ma senza tempi familiari ormai rapiti dai nuovi lavori, giovani uomini e giovani donne che si amano in una società più libera ma non meno ipocrita.
Poi ci sono due piazze che queste storie le vorrebbero rappresentare. Nei comunicati, nei colori, nelle rivendicazioni. Una c’è già stata, quella della #svegliaitalia, che chiede più diritti per alcune delle storie che abbiamo descritto, con una pruriginosa retorica e un velato snobismo nei confronti di chi si pone domande legittime, di coscienza.
L’altra ci sarà domenica, quella del Family Day, una dimostrazione di forza dannosa perché mixa sinceri convincimenti, conservatorismo becero e strumentalizzazione politica in chiave antigovernativa.
Una cosa le accomuna: il fatto di dividere il campo tra chi è pro e contro senza se e senza ma, come se quelle storie di amore “diverso” fossero incompatibili tra di loro.
Perfetto, noi siamo incompatibili con quelle piazze, perché a noi piace prendersi carico delle ansie, delle difficoltà di chi si sceglie, di chi costruisce famiglia.
Un decreto. Il DDL Cirinna’ prova a dare una risposta in termini di diritti ad alcuni casi di amore “diverso”, e saremo molto chiari: siamo d’accordo quando si propone di riconoscere alle coppie omosessuali i diritti di reciproca assistenza e un regime giuridico, e pensiamo che sia giusto includere in quei rapporti i bambini che vivono dentro queste relazioni per tutelarli con lo strumento dello stepchild adoption. Senza mai travalicare, questo sì senza se e senza ma, una questione cruciale: quella della impossibilità di dare un valore alla vita, di pensare che sia possibile monetizzarla. Su questo siamo e saremo saldamente contrari. L’utero in affitto ed altre pratiche di surroga del diritto alla vita sono incompatibili con il concetto di dignita’.
Siamo sicuri che poi sarà il turno degli altri protagonisti delle storie che abbiamo raccontato perché non dobbiamo avere paura di rimanere indietro, ma di non andare avanti.