Archivio mensile:marzo 2020

TORNEREMO E SARÀ PIÙ BELLO CHE MAI

Erano le ore 21.00 circa del 7 marzo 2020, ero a cena con alcuni amici e ad un certo punto arriva la chiamata di mia madre, era molto preoccupata. Diceva cose tipo “finirai per rimanere lì! La Lombardia sta per essere blindata! Torna a casa!!” Dopo 10 minuti il telefono ha squillato di nuovo. Era un mio amico “Fede hai sentito?”“Si ho sentito” “Io sto partendo ora con la macchina, tra mezz’ora chiudono tutto! Ti passo a prendere? Torniamo a casa!”. 

Quella sera per la prima volta ho avuto la sensazione di essere in gabbia. Finita la cena, sono andata verso la metro e sembrava mi mancasse l’aria. I vagoni della metropolitana erano semi vuoti, ognuno era sulle sue, molti parlavano al telefono, erano preoccupati. Anche io lo ero. Lo ero molto. Ma per molti quella era ancora solo e comunque una semplice influenza.

Domenica 8 marzo la passai al parco, c’erano tantissime persone a cantare, suonare a ridere e anche se tutto dava l’idea di essere una domenica come le altre, l’aria spensierata di quella giornata era pronta per dare il cambio ad un’aria nuova, gelida e colma di paura.

Quel che accadde da lunedì 9 in poi, bene o male, è un ricordo uguale per tutti, ma, per quanto uguale esso sia, ognuno di noi sta vivendo la quarantena in maniera del tutto diversa.

Mi chiamo Federica, ho 28 anni, vivo a Milano, ma il mio cuore è completamente perso per la mia città natale, Chieti e quella notte dell’8 marzo in cui molti miei amici scapparono da Milano per tornare nelle proprie città d’origine io decisi di restare qui, a Milano. Come? Facendo un grande respiro, razionalizzando il problema e anteponendo la coscienza all’istinto di scappare.

Perche non esiste età in cui, nel momento del bisogno, non si desideri tornare a casa tra le braccia di papà e mamma, ma, allo stesso tempo, non esiste paura che non possa essere dominata dalla razionalità. Tornando a casa probabilmente non avrei peggiorato le cose, ma sicuramente non le avrei migliorate.

Non mi pento di essere rimasta qui, ma la mia famiglia mi manca terribilmente, mi mancano i miei genitori e mi mancano i miei fratelli che vivono a Londra e Rotterdam. Una famiglia come la mia, in un momento come questo, è messa a dura prova, ma quando la salute è dalla propria parte, mentre fuori dalle mura di casa è in atto una pandemia, ogni sforzo diventa ricompensa.

Milano, oggi è a tutti gli effetti una seconda casa per me, l’ho sempre vissuta in costante movimento, di corsa, condita da immenso stress. È una città che va veloce, che ti impone di stare al passo, di non mollare e, a volte, questo fa sì che tu senta il bisogno di fermarti, ma mai la voglia di farlo.

Questa quarantena, per forza di cose mi ha fermata, anzi, ha fermato tutti e ora l’unica cosa che guardo è la strada di casa mia, dove dai balconi vedo sventolare bandiere dell’Italia.

Ho finalmente conosciuto i miei vicini dopo un’anno e mezzo che abito in questa casa, ho scoperto che Milano ha dei colori al tramonto che mi ricordano un quadro bellissimo e ho capito che il cliché secondo cui le persone del nord sono persone fredde è solo un cliché.

Il silenzio dilaniante di questa città è interrotto da applausi al balcone e dalle sirene delle ambulanze che sono ormai un sottofondo a cui non possiamo e non dobbiamo abituarci.

Quando tutto questo finirà, perché certo che finirà, la prima cosa che farò sarà tornare a casa mia, voglio riabbracciare i miei genitori, voglio passeggiare per le strade della mia città, voglio prendere un aereo e volare dai miei fratelli, voglio prenderne un altro e andare dappertutto. Voglio camminare, non voglio più prendere la metro per fare 1 km, voglio respirare quella meravigliosa, stupefacente e unica sensazione di libertà che stiamo annaffiando come un fiore per poi farla sbocciare quando finalmente tutto questo sarà finito.

Torneremo a fare la fila al cinema la domenica pomeriggio, a fare le code in tangenziale, torneremo a prenotare tavoli nei ristoranti, a fare le file in camerino, a prendere il caffè al bancone, a sederci al bar per fare aperitivo, ad uscire con quelle persone che poi non sono nemmeno tanto simpatiche. Torneremo a fare sport all’aria aperta, ad andare per musei, ad andare in biblioteca, a passeggiare in centro. Torneremo a prenotare voli, treni, alberghi per raggiungere qualsiasi posto il cuore voglia portarci. Torneremo a riempire parchi, a riempire stadi, torneremo ad essere noi. Torneremo a calpestare il suolo di questo paese meraviglioso quale è l’Italia.

Torneremo a fare tutte quelle cose che almeno una volta nella vita ci hanno fatto pensare “no che palle, ma non potevo rimanere a casa?!”

 

Federica D’Alessio

Una nuova Comunità, una nuova Dimensione

[…] Viviamo “Strani Giorni”, come canterebbe Franco Battiato, così carichi di novità (sovversive) che li ricorderemo a lungo. Perché l’Italia, sta affrontando una serie di curve della Storia da cui non potrà uscire come è entrata. Probabilmente più fragile. Provinciale e isolata, sicuramente molto diversa. […]

Sono queste le parole iniziali del libro di Francesco Delzio dal titolo “La ribellione delle Imprese”.
Era uno dei tanti libri accatastati sulla scrivania, ancora non letti, in attesa di un periodo in cui ci fosse il tempo per dare loro il giusto rilievo. Ed ecco che, come narra il famoso detto “la vita è quello che ti succede quando si è impegnati a fare dei programmi”, quel tempo è adesso arrivato.

Non è certo per dare a quelle parole il “potere” della predizione che le ho citate, ma perché mi parve quantomeno ironico leggerle all’indomani del famoso decreto del 9 marzo in cui il Presidente del consiglio dei ministri annunciava il lock down italiano.

Delzio scrisse infatti quel libro nel 2019, periodo “lontanissimo” dalla fragilità di questi giorni, e raccontava il disagio e la rivolta del mondo delle imprese contro un crescente collettivismo.

Ma quelle parole così involontariamente profetiche produssero in me profondi sconvolgimenti interiori, ed anche se il contesto è ormai pandemico, globale ad ormai 3 settimane dall’inizio della quarantena mi è impossibile non rimanere ancorato alla dimensione Italiana, sia questo un limite o un non limite della mia mente, lo chiamerei più semplicemente un istinto, ed è a partire da questo istinto unito ad un forte senso del dovere che tutto il “popolo” del volontariato ha dato ancora una volta prova della sua solidità dimostrando di poter fare la differenza in momenti come questo  mettendo  in piedi ingenti reti di solidarietà e dipingendo, ancora una volta, il ritratto di un’Italia che sa come tendersi la mano.

Perché al di là delle prese di posizioni discutibili di sindaci sceriffi, governatori armati di lanciafiamme, il nostro paese è ancora il paese dei molti eroi senza nome. Perché una volta usciti da questo pantano l’unico modo per risollevarci è facendolo tutti insieme, come popolo;  ognuno pensando a ricostruire l’adiacente, il meglio conosciuto, partendo dalle proprie realtà.

L’opportunità che ci si presenta da questa profonda sciagura, non appena sarà sotto controllo, è quella di immaginare il dopo e quindi ricostruire la nostra comunità partendo da una dimensione umana, una comunità per l’uomo e a misura d’uomo; la propria casa partendo da fondamenta più solide, da facciate più belle, da balconi più fioriti.

Perché, citando Guccini, “nel mondo che faremo Dio è risorto”.

Giovanni Bunoni (Vicecoordinatore Nazionale Giovani delle Acli)

#coronavirus #litalianonsiferma #iorestoacasa

#IORESTOACASA, però fatelo anche voi

Non è facile trovare le parole giuste per condividere ciò che ognuno di noi vive in questi giorni.

La vita di ognuno di noi è stata stravolta, ci riscopriamo più fragili e cerchiamo in tutti i modi di affrontare al meglio questa situazione. Dobbiamo imparare a “collaborare in isolamento” rispettando regole che ci impediscono di dare un minimo di normalità alla nostra vita.
Ma purtroppo la relatà dei fatti è che non c’è possibilità di uscire da questa crisi senza stravolgere a pieno le esistenze di ciascuno e spero davvero che tutti possano comprendere a pieno la necessità di sacrificare le proprie priotà per un bene più grande, che è il bene comune. Siamo troppo abituati a vivere il nostro “orticello”, a focalizzarci sui nostri bisogni e molti di noi faticano a vedere quanto, il benessere comune, ora più che mai, ha un riscontro concreto e spesso brutale sul singolo.
Vivo in quarantena da due settimane e purtroppo la mia casa non si affaccia su altri balconi, non ho cantato coi miei vicini l’inno nazionale, non ho appeso nessun arcobaleno. Approfitto di questo tempo per coltivare i miei hobby, lavorare dal pc e vivere una lunga domenica in casa fatta di pasta al forno e film.
Troppo spesso però la mia mente indugia sulla mia famiglia in Puglia, troppo lontana da me, come sempre del resto, che mi manca e per cui sono preoccupata ogni giorno di più. Troppo spesso la mia mente indugia sulla polvere che si sta accumulando sui miei giochi da tavola e sul set di calici, perchè di ospiti e amici in casa mia non ce ne sono e non ce ne saranno per un pò.
Penso a tutti gli sforzi professionali fatti negli anni che sembrano pronti a sgretolarsi e diventare polvere.
Ad ognuno di questi pensieri pensieri malinconici seguono circa dieci passi. Quelli che mi servono per arrivare alla finestra della camera da letto e affacciarmi al giardino dei vicini. Una graziosa e grande famiglia. A volte ci sono i bambini che giocano, qualcuno legge un libro o sistema le piante. Io assaporo l’odore di erba tagliata, il calore del sole e il vento leggero sulla pelle, il ronzio di qualche ape che gironzola attorno al mandorlo sotto di me. E tutto sembra più facile, meno perso.
Ma ad ognuno di noi viene chiesto di fare delle rinunce. Vi prego fatele.
La mente di ognuno di noi indugerà su qualcosa di negativo. Voi affacciatevi da una finestra e godete dei raggi del sole.
#iorestoacasa però fatelo anche voi.
Alessia Balducci
(Giovani delle Acli di Perugia)

SENSAZIONI CHE NON AVREI MAI PENSATO DI VIVERE!

 La frase che mi risuona da giorni è: “l’Italia è una nazione unita”, ma forse questa frase è solo una delle tante frasi di circostanza. Non avrei mai pensato che negli anni dell’industria 4.0, potevamo vivere un momento così difficile e combattuto di blocco totale della nostra nazione, eppure il COVID-19 ci sta facendo vivere queste emozioni indescrivibili per ognuno di noi. Sono dieci giorni che in Calabria come in tutta Italia siamo chiusi nelle nostre case per rispettare le normative del DPCM aggiornate al 11 marzo, ma ovviamente abituati alle giornate frenetiche senza fermarsi un attimo ad ascoltare il mondo che ci circonda, sentiamo la necessità di rimanere in contatto con il mondo esterno attraverso i Social, videochiamate, chat, ecc…. Cosenza in questa giorni sembra una città disabitata tranne in alcuni orari dove i palazzi si rianimano con musica, applausi e canti. Purtroppo fin ora ancora qualcuno sottovalutava la situazione ma dalle ultime ordinanze della Presidente Regionale fatte giorno 17 marzo anche la Calabria ha due paesi in quarantena uno nella provincia di Cosenza (San Lucido) e uno nella provincia di Reggio di Calabria (Montebello Ionico), tutti pensavamo che  forse era l’unica volta che eramo riusciti a scampare l’emergenza che si sta vivendo, anche perchè siamo in una terra dove ancora oggi si sente che si muore per mancanza di sacche di sangue come è successo qualche mese fa e non cito altre situazioni “IMPENSABILI” quindi per noi sarebbe un vero problema cosa che riguarda purtroppo tutto il mezzogiorno d’Italia.

Qualche giorno fa avrete letto sul blog del GA Nazionale un articoletto scritto dalle ragazze di SCU Acli Cosenza che sono state le prime a vivere la situazione di allarme tra Terremoto e COVID-19, si avete letto bene Terremoto! non ci facciamo mancare nulla dopo qualche giorno dall’inizio di Servizio Civile c’è stato una forte scossa e fortunatamente ci sono stati danni ma lievi. Nonostante tutto non ci fermiamo! dalle nostre case abbiamo avviato una rete di solidarietà insieme al comune di Cosenza e Rende e tutte le associazioni presenti sul territorio, supportando le persone che in questo momento è meglio che restano a casa perchè sono più a rischio, ci sono alcuni volontari che offrono la loro disponibilità per consegnare la spesa o altre commissioni e noi supportiamo tutta l’organizzazione con chiamate messaggi, per capire l’esigenze di ognuno. Beh diciamo che cerchiamo di non pensare a tutto quello che succede e continuiamo a  sperare che la Calabria rimanga come la regione con meno contagi anche se la paura è tanta per i nostri amici e parenti che si trovano nelle zone del Nord più contagiate.

L’unica cosa che possiamo fare in questo momento triste e difficile per tutti continuare a #RESTAREACASA  non farsi prendere dal panico e per chi è lontano dalle famiglie pensate al bene vostro e loro.

Teresa Grisolia

GA Cosenza

VICINI, DISTANTI.

In Campania siamo alla prima settimana delle restrizioni, che si sono intensificate nelle ultime giornate, come non mai. La responsabilità e il senso civico alla fine è prevalso anche qui, dove in fondo, è chiaro, si riesce a fare socialità anche a distanza di un balcone, spesso proprio a distanza di un metro.

Penso ai vicoli e strade strette dei quartieri dove la distanza è il tema di ogni giorno. E forse il tema e la parola giusta non è distanza, dovremmo guardarla nel verso positivo di vicinanza. Ma ancor di più i fatti istituzionali, i decreti, hanno inibito la nostra gestualità, continua per i meridionali, che accompagna qualunque parte del discorso. Per questi giorni sembriamo incapaci di comunicare a parole, come avessimo solo un codice di lingua, ma senza linguaggio.

Succede diversamente in periferia e nel territorio più ampio della città metropolitana, dove l’isolamento non è tanto più straniero del vivere precedente. Le case distanti l’una dall’altra, le persone che corrono veloci in macchina con la mascherina, e anche a piedi, come nel mio piccolo paese, tenendosi a distanza. Trovo che non sia più del solito. Una riflessione strana a vedere tutto questo.

Cosi come è strano non poter tenere aperta la piccola sala, sede dell’associazione, dove si sono riuniti fino ad una decina di giorni fa, nel rispetto delle regole del catalogo sanitario, gli anziani e i giovani che spesso fanno la spola tra la sede ed il bar di fronte.

L’immagine della piazza vuota, ancora più del solito, lascia un po’ di amaro, ma anche speranza che tra qualche settimana si possa rivedere piena. Sarà cambiato sicuramente qualcosa nel rapporto tra di noi e con noi stessi. Stiamo cercando il più possibile di tenere i contatti anche con un semplice messaggio sui social o con una telefonata, i nostri soci anziani e di tutta la comunità, per non far mancare fiducia.

Ancora oggi il senso di comunità viene messo alla prova. Siamo alla metà di una Quaresima, che non a caso capita in un periodo di quarantena, da vivere in autoriflessione. Sarà l’occasione, quando potremo riabbracciarci, di poter fare una riflessione di comunità, che ci sia via per un percorso vero di costruzione di senso comune e di reciprocità.

Angelo Vecchione

(Giovani delle Acli Napoli)

#iorestoacasa #litalianonsiferma #coronavirus

Verso un capovolgimento dell’ordine di tutte le cose

All’inizio degli anni Novanta, un anziano – e ormai monaco – Giuseppe Dossetti sosteneva in modo assai arguto che la tragedia della seconda guerra mondiale avesse radicalmente mutato la storia dell’umanità tanto per la sofferenza generata quanto per l’urgenza di immaginare, pensare e percorrere modelli culturali, istituzionali, sociali e politici non più debitori alle visioni che avevano condotto al disastro.  

Senza dubbio, almeno così pare finora, la pandemia originata dal COVID-19 non è per nulla paragonabile al disastroso periodo della seconda guerra mondiale. Tuttavia, sembra essere il primo grande evento – realmente globale – a mettere seriamente tutti in allarme al fine di tutelare sia la salute pubblica sia le sorti delle economie locali e internazionali. Insomma, la situazione creata dal Coronavirus potrebbe alla lunga risultare un’occasione, per l’intera umanità, di ripensare se stessa e il suo modo di organizzarsi tramite istituzioni, organismi e costituzioni. Così, mentre si cerca di comprendere e arginare i reali rischi della crisi e i costi umani e sociali che emergeranno, abbiamo la possibilità di cominciare a ragionare sul futuro alla luce di un possibile capovolgimento dell’ordine di tutte le cose. Sì, ma verso dove e a partire da cosa?

In piena crisi economica e sociale post seconda guerra mondiale, il sindaco di Firenze Giorgio La Pira – rivolgendosi al ministro della difesa Pacciardi – affermava: «c’è da salvare la fiducia nella democrazia». La linea di partenza per avviare un radicale ripensamento deve essere ben chiara, tracciata e visibile a tutti: salvare, e ove possibile migliorare, il nostro sistema democratico. Ciò avverrà se tutte le democrazie riusciranno ad assumersi la responsabilità delle comunità coinvolte senza isolare o scartare nessuno. A monte di tale prospettiva risiede una concezione delle istituzioni statali, e internazionali, assai distante da qualsivoglia a-finalismo. Infatti, come mostra in modo indubitabile la crisi che attraversiamo, le istituzioni di qualunque grado sono invitate a condurre le comunità verso il bene comune il quale deve essere, con il concorso libero dei cittadini singoli e organizzati, difeso, promosso e sviluppato. Allora si tratta di ribadire, ancora una volta, che i sistemi democratici sono chiamati ad impegnarsi non solo a garantire il libero mercato ma soprattutto, specie nei momenti di crisi, a colmare le ingiustizie, a superare i dislivelli, a creare le condizioni affinché ogni uomo, per dirla con Aldo Moro, sia: «presente e conquisti la sua parte di beni secondo giustizia». 

Se l’impegno a salvare la fiducia nella democrazia, o meglio di un certo modo “sostanziale” d’intenderla, è la linea di partenza per avviare – attraverso la crisi – un capovolgimento dell’ordine di tutte le cose, il passo successivo è rappresentato dalla comprensione della fraternità non più in chiave esclusivamente volontaristica bensì come parte costitutiva dei poteri pubblici. Difatti, l’attuale emergenza attesta – qualora fosse ancora necessario – che le istituzioni non possono essere fondate su legami stipulati fra “caini”, cioè fra individui interessati solo alla tutela della propria salute, ricchezza, posizione sociale, bensì fra fratelli convocati a relazionarsi alla luce del bene proprio e altrui e, quindi, a partorire una comunità umana libera, giusta e fraterna. 

Per far ciò, bisogna avviare tutti quei processi capaci di concepire una nuova coscienza politica soprattutto fra i giovani i quali – dinanzi al disorientamento, allo scoramento e alla balbuzie morale e intellettuale di molti adulti in questo periodo di emergenza – sono invitati a percorrere, con la propria responsabilità, vie nuove. Si tratta di rispondere all’appello di una missione trasformante da compiere al fine di prospettare, alimentare e rendere operative, visioni nuove gravide di un nuovo umanesimo volto tanto a relativizzare il potere economico e quello politico quanto a reinterpretare in chiave umanistica le istituzioni. 

Come diversi analisti hanno già affermato, nel cuore della crisi bisogna attivarsi non solo per fronteggiarla ma anche per intraprendere vie possibili per il futuro. È questo il nostro compito affinché non resti soltanto il doloroso, e al contempo strano e inaspettato, ricordo di una quarantena. 

Rocco Gumina

#iorestoacasa #litalianonsiferma #coronavirus

Costruiamo una rete invisibile… contro il COVID-19

Siamo delle volontarie di Servizio Civile presso le ACLI di Cosenza ed abbiamo deciso di condividere i nostri pensieri al fine di accorciare un po’ le distanze che ad oggi sembrano essersi moltiplicate.

Abbiamo iniziato il nostro servizio con entusiasmo e grandissime aspettative, ma i pensieri che andrete a leggere sono velati da un pizzico di malinconia mista a stupore, per un evento che ha portato all’interruzione dei nostri progetti: si tratta del COVID-19 che ha messo in allerta tutta l’Europa e non solo. Scrivere qualcosa che leggeranno più persone non è mai facile e spesso si fa fatica a trovare le giuste parole per arrivare al cuore di ciascuno, per essere più trasparenti possibili. In una situazione simile però, il nostro scopo è solo quello di essere una compagnia per qualcuno, un semplice messaggio che dice “ehi tu, non sei da solo/a puoi condividere i tuoi pensieri con noi!”. Placidia, 22 anni, scrive: <<Non credevo che il 2020 potesse essere un anno “malsano”, portatore di questa pandemica novità. Il mio punto di vista è un punto di vista qualunque, ma l’emergenza covid19 lascia spiazzati. Il mio primo pensiero va a chi in questo momento, come me si trova distante dalla propria famiglia, nell’incertezza totale. Credo fermamente che in momenti critici come questo, si possano attivare, paradossalmente, una serie di risorse di cui disponiamo ma che raramente mettiamo in campo.  Dall’esigenza di necessità e di urgenza si denota quello che è lo spirito del popolo, ed è la prima cosa che ho avvertito in questa sorta di stato di necessità. Ho capito che al di là dei provvedimenti presi dal governo occorre attivare e non lasciare al margine la propria coscienza, per tutelare il bene della collettività e soprattutto la parte debole della società. Il “dover” rimanere a casa inizialmente è stato avvertito come una perdita della tanto amata e decantata libertà, ma questo era necessario, si! Bisogna dirlo quanto è stato necessario, perché altrimenti non si comprende realmente cosa sta accadendo nella nostra nazione.

La mia libertà finisce laddove nuoce a qualcun altro, e questo non bisogna mai dimenticarlo perché è un valore fondamentale per il vivere civile. Forse è proprio su questo che voglio soffermarmi, cioè sul valore di quello che stiamo facendo, è questa la motivazione che cerco di darmi, stando a casa, ricostruendo la mia quotidianità, riscoprendo passioni abbandonate, ascoltando dei vecchi album. Questi sacrifici che sto e stiamo facendo oggi, sono una prova importante e rappresentano un pass per un futuro (più prossimo possibile) che in qualche modo ci renderà più forti e migliori!>>

Sara, invece, scrive: <<Come sto affrontando l’emergenza sanitaria Covid-19? Ho 21 e sono una studentessa lavoratrice, da poco è iniziata la mia esperienza di servizio civile con le Acli, purtroppo già sospesa a causa di questo maledetto virus di cui tanto si parla. Sono tanti i pensieri che affollano la mia mente in questi giorni, e ancor di più le domande alle quali non trovo risposta. Mi chiedo, per quanto tempo ancora dovremo stare così distanti? Ognuno di noi sta affrontando questo evento in modo diverso, io per esempio, mi sono ritrovata dal condurre una vita frenetica allo stare chiusa in casa, lontana dalle mie amiche, dalle colleghe di lavoro e di servizio civile. Uno dei pochi modi per essere d’aiuto è chiudersi nelle proprie abitazioni, tenendoci aggiornati da dietro uno schermo in attesa di buone notizie. Il lato positivo è il tempo che trascorro insieme alla mia famiglia, siamo sempre così impegnati dalla routine quotidiana che spesso dimentichiamo l’importanza delle persone che ci circondano. Un altro aspetto positivo è che finalmente ho visto un’Italia unita, senza distinzioni tra nord e sud, un’Italia in difficoltà ma con voglia di rinascita. Sono certa che questo periodo passerà e tornerò di nuovo la serenità tra le strade del nostro paese, riprenderemo i rapporti umani e saremo di nuovo presi dai nostri mille impegni, ma più consapevoli, attribuendo maggiore importanza alle persone, alla calorosità di un abbraccio. Presto potremmo dire di avercela fatta!>>

In ultimo Elisagrazia: <<Le emozioni e gli stati d’animo del momento sono contrastanti. Alterno momenti in cui tutto ciò mi sembra irreale e divento malinconica, a momenti in cui mi dico che devo fare qualcosa anche io per far sì che la situazione migliori. Oggi però, sento che noi giovani abbiamo una responsabilità importantissima: proteggere i nostri genitori, i nostri nonni e le persone che amiamo, e che sappiamo essere più deboli di noi fisicamente. Usciamo solo per le necessità emanate dal decreto ed utilizziamo la tecnologia di cui tanto siamo esperti nel migliore dei modi.

Costruiamo una rete invisibile per sentirci meno soli, per confrontarci, per studiare con i nostri colleghi di università su Skype, per scambiarci consigli su serie tv da vedere, per preparare una ricetta insieme. Abito a Cosenza, sulla strada principale della città, e da 5 giorni non è più trafficata. Non ci sono persone che vanno avanti e dietro sperando di arrivare in orario a chissà quanti appuntamenti. È dura ogni mattina vedere il parco Piero Romeo completamente senza bambini. Poi però mi dico che adesso è la cosa più giusta che stiamo facendo, stiamo salvando l’Italia. Ognuno di noi è un piccolo pezzetto di un puzzle, che incastrandosi con i decreti emanati dal nostro governo, contribuirà a salvare il nostro Paese. Voglio ringraziare tutti i medici, gli infermieri, i biologi, i virologi e tutto il personale sanitario, che lavora per noi. Grazie a tutte le Forze Armate e di Polizia che rendono la nostra Italia un luogo più sicuro!>> Noi speriamo che questi nostri pensieri aiutino anche te a sentirti meno solo/a, scrivici anche tu e condividi con noi questi giorni, è difficile per tutti, se rimaniamo #unitimadistanti insieme possiamo farcela!

Elisagrazia Mauro , Sara Anna Trinchese, Placidia Guerrera.

(Servizio Civile Universale- Acli Cosenza)

#iorestoacasa #litalianonsiferma #coronavirus

UNA QUARESIMA SUL GOLGOTA DESERTO

In una società come quella attuale sembra impossibile fermare la frenesia che contraddistingue le nostre giornate, ma questa pandemia ci ha obbligato a farlo, lasciando vuote le nostre città.

L’immagine del deserto, che apre il ciclo dei vangeli quaresimali, ci accompagnerà, quest’anno più che mai, fino a Pasqua. 

Con un primo sguardo superficiale ci troviamo davanti a due tipi di deserto: il deserto delle relazioni il primo e il deserto dell’Io il secondo.

#iorestoacasa è lo slogan che dilaga sui social per contrastare l’avanzata del nuovo virus, ma proprio in questo slogan, che genera l’apparente “deserto umano”, bisogna trovare la fonte di una nuova solidarietà che Giovanni Paolo II definiva come principio della Dottrina sociale cattolica, che mira all’unione degli uomini tra loro ed è orientato verso la “Civiltà dell’Amore”. Nonostante la moltitudine di strumenti a disposizione l’idea di stare fisicamente senza l’altro per qualche settimana genera ansia e stimolo per trovare nuovi “mezzi di comunità”, per riscoprire la bellezza della famiglia e ritrovare momenti di intimità interiore che la società ultra-connessa rende sempre più rari, siamo connessi con tutto ma non con noi stessi.

Tre parole “abitano” le strade e le piazze vuote del primo deserto:

La prima è UMANITÀ perché questa “quarantena” ha riportato alle porte del cuore l’importanza dell’altro nelle nostre vite, portando ognuno ad attrezzarsi per sentirsi con il prossimo #distantimauniti (riprendendo l’hashtag lanciato da ministro Spadafora).

La seconda è CARITÀ. In pochissime ore si sono attivate tantissime iniziative a favore di coloro che sono in prima linea in questa “battaglia” e poi a favore di anziani e bambini. È sorprendente notare come la maggior parte di queste siano partite non da grosse associazioni ma dai singoli, per sottolineare ancora una volta, come scritto sul muro del SERMIG a Torino, quanto la bontà sia disarmante. 

CONNESSIONI conclude il terzetto poiché mai come in questo momento le relazioni umane sono la base per tenere un paese connesso e coeso

Queste tre parole riempiono anche il Deserto dell’Io che l’isolamento fisico ha creato e che questa quaresima senza eucaristia ha alimentato.

UMANITÀ che ci evidenzia la nostra fragilità, la debolezza, il sentirci tutti uguali davanti a questa sofferenza facendo sorgere in noi la voglia di Umanità vera, quella che riempie la vita di ognuno e che ci lega con Dio, il Quale, in questa sofferenza, ha deciso di mandare Suo Figlio per salvare il genere umano instradandolo sulla via della pienezza.

Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la CARITÀ!”, il pensiero di San Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, parlando della carità è il punto di incontro tra i due deserti. La carità è Amore e questa enorme parola che in cinque lettere racchiude tutto il messaggio evangelico è la base di questa attesa pasquale tanto strana quanto ricca di Amore per gli altri.  “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” è una delle frasi più importanti dette da Gesù nei vangeli perché evidenzia come solo attraverso l’altro si può arrivare a Dio e soprattutto, facendo un passo in più, che consiste nel Dare ricordando che prima di tutto ci sono le persone, lo specchio dell’anima si schiarisce e ognuno si può “mettere a nudo” davanti a sé.

Il percorso quaresimale che accompagna ciascuno verso la Pasqua è personale, ma in una circostanza come quella attuale la CONNESSIONE con Dio è messa alla prova. Proprio da tale difficoltà deriva la forza della fede capace di superare le tentazioni della prima domenica quaresimale, diventando l’acqua viva della samaritana, abbracciandoci come un padre, aprendoci gli occhi come Gesù ha fatto con il cieco nato e illuminandoci con la gioia della risurrezione di Lazzaro per entrare trionfale nel nostro cuore e poi morire sulla croce pesante come il mondo intero ma capace di tenerci a galla.

È per questo che noi cristiani non affondiamo nelle tempeste del mondo, perché siamo portati dal legno della croce (S. Agostino)

Simone Romagnoli

(Giovani delle Acli Milano)

#iorestoacasa #litalianonsiferma #coronavirus

 

#IORESTOACASA

Marzo 2020.
Sono giorni difficili per noi italiani, pieni di paura, panico, ansia…siamo travolti da notizie, spesso fakenews, che alimentano questo nostro malessere.

Ci viene chiesto di restare a casa per debellare questo maledettissimo virus. Ma sapete cosa mi spaventa? Sapere che intorno a me c’è parecchia IGNORANZA “perché tanto colpisce gli anziani e gli immunodepressi”, c’è chi NON SA RINUNCIARE ad un aperitivo, un weekend, alla passeggiata al mare.
Fermi tutti!
Bisogna essere compatti, fare un PASSO INDIETRO. Solo se andiamo tutti nella stessa direzione possiamo uscirne più forti di prima.

Molti di noi giovani sono lontani dalle proprie famiglie, chi si trova fuori per studio o per lavoro, ha deciso saggiamente di rimanere nella propria città adottiva. Non sarà facile stare lontani e vedere i propri cari via webcam. Ma quello che mi sento di dirvi è che “ANDRÀ TUTTO BENE”, vi abbraccio virtualmente, torneremo a farlo fisicamente, torneremo ad avere quella spensieratezza che ci accompagna quotidianamente.
Abbiate un pó di pazienza.
Siete, siamo forti!

SeleniaFrancesca Bellini
(Giovani delle Acli Caltanissetta)

IL CONTAGIO DELL’EMPATIA

In questi giorni di emergenza sanitaria nazionale, le notizie sul diffondersi del Covid-19 hanno monopolizzato l’informazione pubblica, alienandoci dal contesto internazionale, che pure sta subendo evoluzioni tanto veloci quanto drammatiche quanto il virus che ci costringe nelle nostre case. 

Eppure, la diffusione del Covid-19 ci offre l’occasione di riscoprire e rinvigorire uno dei sentimenti più autenticamente umani, che spesso soffochiamo sotto l’individualismo delle nostre società: l’empatia, cioè quel profondo sentire dell’altro che riesco a fare mio abbracciando la sua situazione.  

Milano, 8 marzo. Migliaia di studenti e lavoratori fuori sede si riversano nelle principali stazioni meneghine, alla disperata ricerca di un treno che possa riportarli a casa. A sospingere questo flusso schizofrenico e disorientato di persone, la paura, alimentata dalla diffusione della bozza di un DPCM che minacciava la chiusura delle frontiere della Lombardia, l’indomani nemmeno pubblicato in Gazzetta Ufficiale. 

Idlib, Siria, 27 febbraio. Un raid aereo uccide 36 soldati turchi, impegnati a contenere l’esodo di siriani in fuga dagli attacchi dell’esercito di Assad, supportato dall’aviazione russa. La reazione del presidente turco non si è fatta attendere: con la riapertura del confine turco-greco e la violazione degli accordi europei di contenimento dei migranti del marzo 2016, Erdogan sta sollecitando tramite ricatto il sostegno UE alla causa siriana, prospettando al contempo la riapertura della rotta balcanica. Immediatamente, decine di migliaia di profughi iracheni, afgani, curdi e siriani, costretti per un lungo periodo nei campi turchi, si è riversato al confine greco, incontrando però la ferocia della polizia ellenica. Nell’immediato, sono ripresi anche gli sbarchi sulle isole di Samos, Chios e Lesbos, il cui campo-lagher più tristemente famoso – quello di Moria – ospita oggi circa 20.000 persone, più del quintuplo oltre la sua normale capienza, provocando, tra l’altro, l’esasperazione della popolazione locale. 

Centinaia di migliaia di profughi stanno bussando alle porte dell’Europa, sfidando la morte, nella speranza di un futuro migliore. Oggi siamo oltremodo offuscati dall’emergenza innescata dalla diffusione del Covid-19 per accogliere le ragioni della fuga di queste persone. Ma quando l’emergenza sanitaria sarà rientrata, e sentiremo a gran voce la richiesta di aiuto di quelle persone che continueranno a bussare alle porte dell’Europa, non dimentichiamoci della paura che ci ha tenuti prigionieri in queste difficili settimane. Diamole il volto di un bambino con gli occhi arrossati dai lacrimogeni, le braccia di un papà che scava tra le macerie della sua casa distrutta da un bombardamento, le mani di una madre che non riesce a riparare dal gelido vento greco i suoi bimbi, le gambe di un ragazzo che insegue il sogno di diventare calciatore. Diamo un nome e restituiamo la dignità di uomo alle persone che improvvisamente torneranno ad occupare le prime pagine dei nostri giornali, restiamo a guardarli finchè non ci si contorceranno le viscere per la loro paura, e non saremo frastornati per la loro forza di vita, che finalmente avvertiremo come nostre.

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(Cecilia Leccardi, GA Milano)