Forse è giunto il momento di ripensare davvero al raccordo scuola – lavoro
Lo studente Lorenzo Parelli è morto al suo ultimo giorno di alternanza scuola/lavoro (progetto di PCTO – percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento). Aveva appena compiuto 18 anni e frequentava il 4° anno nel settore della meccanica industriale, ma già aveva le idee chiare su quale sarebbe stato il suo futuro. Era appassionato di meccanica e si era impegnato negli studi, perché voleva trovare presto un’occupazione. Ieri, quella strada, tracciata con passione, si è interrotta. E lui, che un contratto e uno stipendio ancora non li aveva, è morto come gli altri oltre mille lavoratori che hanno perso la vita nei primi dieci mesi del 2021. Inaccettabile il numero delle morti e degli infortuni sul lavoro. Ancora da accertare le cause di quanto avvenuto mentre il giovane era impegnato in lavori di carpenteria metallica all’interno di una ditta che si occupa di realizzare bilance stradali nella frazione di Lauzacco (Udine). Secondo una prima ricostruzione durante il montaggio di un macchinario un elemento sarebbe caduto, finendo addosso al ragazzo che, prima, è precipitato e, poi, è rimasto schiacciato da una putrella. Fatto di una gravità inaudita. L’esperienza in azienda dovrebbe garantire il futuro ad un giovane, non condurlo alla morte.
Non ci sono parole per commentare questa tragedia orribile. Il contatto con il mondo del lavoro è essenziale perché può davvero fare tanto per la giovane o il giovane che ne prende parte. Però non si può morire così. Non si può morire perché si voleva imparare un mestiere. Servono nuove misure per la sicurezza sul lavoro. Come è possibile che uno studente possa essere impiegato in mansioni potenzialmente mortali? L’Alternanza scuola-lavoro è una modalità didattica, che attraverso l’esperienza pratica aiuta a consolidare le conoscenze acquisite a scuola e testare sul campo le attitudini di studentesse e studenti, ad arricchirne la formazione e a orientarne il percorso di studio e, in futuro di lavoro. In linea con il principio della scuola aperta. Una via italiana al sistema duale, che riprende buone prassi europee, coniugandole con le specificità del tessuto produttivo ed il contesto socio-culturale italiano.
La legge 107/2015, conosciuta anche come “Buona scuola”, che ha introdotto per tutte le scuole e per tutti gli studenti del 3°, 4° e 5° anno l’obbligo dei percorsi, ha previsto almeno quattrocento ore per gli studenti degli ultimi tre anni degli istituti tecnici e professionali e almeno duecento ore per quelli del triennio dei licei. Nella realtà il fatto che le scuole debbano necessariamente adempiere a quest’obbligo e “collocare” un numero così alto di studenti fa si che solo pochi riescano a fare esperienze realmente qualificanti e formative. Il rischio che molti di questi studenti si ritrovino quindi a fare attività “di produzione” a costo zero per le aziende che li ospitano è assai concreto. L’alternanza imposta come obbligo, subita da tutti, non fa crescere e non sviluppa un approccio vero e completo al lavoro: bisognerebbe spiegare a questi ragazzi, per esempio, che quando si entra in una azienda ci si entra con diritti e doveri o la differenza che passa tra un lavoro svolto con un contratto nazionale e uno svolto con un contratto di collaborazione. Gli studenti parlano di “progetti che raramente hanno utilità e attinenza rispetto al percorso di studi”. C’è chi dice di sentirsi sfruttato. L’alternanza deve essere una “metodologia didattica che lega il sapere al sapere fare, l’intelligenza teorica all’intelligenza pratica, che fa davvero da ponte tra ciò che si studia a scuola e ciò che si andrà a praticare nei luoghi di lavoro. Ecco perché prima di parlare di “esperienze formative in azienda” sarebbe necessario e utile che il lavoro entri senz’altro nelle scuole e che agli studenti se ne spieghino le complessità e l’enorme valore. È incomprensibile come ancora oggi si possano verificare episodi di questa gravità.
In questo momento il dolore sofferto dalla famiglia di Lorenzo Parelli impone a tutti un rispettoso silenzio.