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Un occhio attento su altre realtà

BANDIERE PER LA PACE

La #PACE unisce il mondo sotto un’unica bandiera. Quella della fratellanza, della giustizia e della prosperità.

Come Acli – Associazioni cristiane lavoratori italiani e GA invitiamo i Giovani, tutte le realtà della rete #Acli, i soci, le Associazioni, le Istituzioni Nazionali e i cittadini tutti ad esporre la bandiera della PACE fuori delle proprie case, sedi e luoghi di lavoro.

Fotografiamola e postiamola sui social perché i messaggi di PACE di ciascuno di noi si sommino a quelli di una moltitudine di persone convinte che la guerra non sia mai la soluzione perché senza la PACE non esiste nessun tipo di sviluppo.

#AcliForPeace#GiovanidelleAcli

365 giorni di diversità a 16000 chilometri da casa: piccola riflessione di una giovane aclista a fine servizio

Di Rosaria Santoro – Volontaria in Servizio Civile presso il Patronato Acli Melbourne

16000 sono i chilometri che separano Roma da Melbourne, Australia. Era Luglio del 2015 quando appresi la notizia di essere stata selezionata per un progetto di Servizio Civile con sede di attuazione Melbourne presso il Patronato Acli. Il mio nome è Rosaria Santoro, sono prima di tutto me stessa e poi una biologa, con un background in più sull’ecologia.

Quest’ultimo aspetto mi ha spinto a fare domanda per il servizio civile internazionale, desiderosa di vivere la “selvaggia” Australia, e la natura incontaminata che la caratterizza. Non avevo aspettative, se non quella di vivere pienamente questa esperienza ed imparare a superare molti dei miei limiti.

Il lavoro al patronato Acli mi ha permesso di incontrare tanti italiani, supportare attivamente la comunità italiana a Melbourne, e riscoprire il mio paese, attraverso i racconti di chi l’ha dovuto lasciare. E così in poco tempo, ho conosciuto le montagne di Asiago, la Roma sotto la dittatura fascista, Baarìa (proprio quella di Tornatore), e una Calabria più forte e viva che mai. L’esperienza in Australia, i racconti dei vecchi italiani sulla loro terra natia, il loro amore per l’Italia, hanno trasformato positivamente la mia opinione sul mio paese, e mi hanno reso ancora più felice di ritornare.

L’Italia ha un “background” culturale, unico ed inimitabile, composto da una miriade di storie e popoli diversi tra loro, passando dal Nord, fino ad arrivare al Sud (con differenze addirittura tra paesi a pochi km di distanza) ma uniti in un’unica lingua ed un unico sentimento comune di appartenenza. Un’identità che spesso dimentichiamo per insensati fanatismi regionali, o che rivendichiamo solo quando ci sentiamo minacciati dallo “straniero” che solca il Mar Mediterraneo per raggiungere la salvezza, che sia esso una persona in cerca di fortuna o che fugga da una guerra infame.

Questa ricchezza culturale e questa diversità, ora è anche patrimonio dell’Australia, che accogliendo centinaia di migliaia di immigrati italiani nella seconda parte del ‘900, ha assorbito non solo le loro forze, le loro braccia, che hanno contribuito non poco a sviluppare e costruire questo paese, ma anche la loro cultura, i loro dialetti, i loro modi di vivere. Tutto ciò ha condizionato lo sviluppo sociale, in molte città australiane, ed in particolare a Melbourne, per anni il centro dell’immigrazione italiana in Australia, modellando la cultura australiana, rendendola più incline all’esperienza del nuovo e della diversità.

Negli ultimi anni, tanti giovani europei hanno abbandonano le loro nazioni per inseguire il sogno australiano, e tanti altri sono emigrati e continuano ad emigrare in Europa. Ognuno di loro è alla ricerca di una vita migliore, ognuno vive a pieno il disagio della migrazione.

In questo girotondo di movimenti, l’unica costante che si ripete all’infinito, lungo l’asse temporale, è la consapevolezza di essere solo dei numeri. Non è facile, non è stato facile per i migranti di prima generazione e non lo è per noi, non lo sarà mai, perché non c’è cosa più difficile che essere strappati alla propria casa per andare verso ciò che non si conosce.

Oggi, “l’isola grande quanto un continente” è divenuta uno spettacolare mix di tradizioni e culture, che fa invidia a qualsiasi esperimento sociale.

Il fascino scaturisce da una miscela culturale che armoniosamente integra non solo culture nazionali differenti, come greci, cinesi ed italiani, ma che esalta le differenze all’interno delle stesse (come ad esempio le differenze regionali italiane).

Ho imparato a fare zuppe tailandesi, a preparare un matcha latte, a mangiare pizze dissacranti, e che regalare un rotolo di carta igienica ad un compleanno ad un giapponese è cosa ben gradita.

Vivere in questo connubio di culture fa bene e mi ha fatto bene, perché ho superato molti pregiudizi che avevo, ed imparato ad apprezzare ogni aspetto di questa umanità. Ed anche se può sembrare banale, vivere un’esperienza del genere apre la tua mente a nuove prospettive, a nuove idee e sensazioni, che mai avresti provato chiuso nel tuo angolo di mondo.

Io adesso posso dire di capire. Capisco chi è partito disperato cercando un appiglio in un’altra terra e chi ha solo voglia di vivere un’avventura. Capisco i miei coetanei, che sono disposti a raccogliere frutta pur di rimanere in questo paese lontano da tutto ciò che li ha fatti soffrire, capisco chi continua ad identificarsi in un mito e chi ha la forza di trasformare la propria vita in un capolavoro alla Charlie Chaplin. Capisco chi mangia la pizza con l’ananas e prosciutto, e chi si ostina a cercare il vero guanciale di Amatrice anche a Bangkok. Lo capisco perché in tutto ciò c’è una parte di me, di quell’umanità che ci rende tutti simili e parte di questo mondo.

Capisco che è tutto questo a renderci umani, vivi, coscienti di sé e del mondo e che abbiamo sia il diritto che il dovere di sentirci parte di un tutto.

Capisco questa diversità perché l’ho conosciuta in 365 giorni, in un solo tempo, in quel di Melbourne, a 16000 chilometri lontano da casa.

LA NUOVA IMMIGRAZIONE ITALIANA IN AUSTRALIA

 

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Di Matteo Zinanni, collaboratore presso il patronato Acli Melbourne

Sta destando sempre più interesse nella comunità italiana in Australia e nelle istituzioni il nuovo fenomeno migratorio proveniente dall’Italia verso il “nuovissimo continente” che solo nel 1606 fu “scoperto” dal navigatore olandese Willem Janszoon.

Un’immigrazione sicuramente diversa dal passato, molto più contenuta nei numeri e con caratteristiche diverse. I nuovi italiani hanno infatti un livello medio d’istruzione superiore a quello dei vecchi migranti, sono spesso residenti di breve periodo e sono spinti verso l’Australia non solo dalla volontà di riscattarsi economicamente e socialmente, come era per i vecchi italiani arrivati nel passato, ma anche dal desiderio di conoscere un mondo completamente nuovo.

Il motore della nuova immigrazione, oltre alla recente crisi finanziaria globale scoppiata alla fine del primo decennio del XXI secolo, è sicuramente il Working Holiday Visa(WHV), introdotto nel 2004. Il WHV è un visto particolarmente utilizzato dagli italiani perché permette di visitare l’Australia liberamente, con la possibilità di lavorare full-time, valido per un anno e rinnovabile per un secondo, ma solo se il richiedente ha svolto 88 giorni lavorativi in una delle fattorie o aziende segnalate dal governo australiano.

Soprattutto grazie a questo tipo di visto, la maggioranza dei nuovi migranti può permettersi di vivere l’Australia nella sua totalità, scoprendone la fauna e la flora uniche al mondo, e assaporando il dolce e l’amaro della società australiana.

Sono tante le difficoltà che devono affrontare questi nuovi migranti in Australia, soprattutto quando viene presa la decisione di rimanere per più dei due anni concessi dal WHV. Problematiche che sono dovute alle difficoltà di comprensione della società australiana, delle sue regole, delle sue leggi, della sua lingua e dei suoi costumi, oltre che alla debolezza che generalmente caratterizza nei primi tempi di residenza colui che sceglie di vivere più o meno stabilmente in una società diversa da quella di origine.

Nonostante gli ostacoli, molti di questi migranti vorrebbero rimanere. L’alto tenore di vita, le grandi opportunità lavorative, e la sensazione che il merito sia riconosciuto molto più che in Italia, fanno dell’Australia un nuovo Eldorado per i nuovi migranti italiani. Un Eldorado fatto di sudore, sangue e sacrifici, per costruire una vita migliore, non solo dal punto di vista economico.

Per i giovani migranti di oggi l’Australia rappresenta un sogno, un continente dove poter realizzare i propri desideri. Migranti molto più simili ai loro coetanei australiani che ai vecchi italiani venuti in Australia negli anni ’50 e ’80. Giovani che contribuiscono a costruire, non solo ipoteticamente, ma anche materialmente questo paese, e che vedono nei sacrifici di oggi il ponte per arrivare ad un domani sicuramente migliore.

A questo entusiasmo, a questi sacrifici, fa da contraltare l’assenza di una forte comunità italiana in Australia e di associazioni che si occupino dei nuovi migranti, se non in rari casi, aiutandoli nel viaggio verso una residenza permanente, che è spesso un percorso meramente individuale. Ciò è causato anche dall’incapacità dei nuovi arrivati di creare fenomeni associativi in grado di poterli rappresentare a livello istituzionale, non solo con il governo australiano ma anche con quello italiano.Per Australia

L’aumento del numero di migranti italiani in Australia nell’ultimo periodo, le sue caratteristiche di unicità e la complessità del fenomeno, hanno spinto il COMITES, Committee of Italians Abroad di Victoria e Tasmania, a commissionare alla Deakin University e alla Swimburne University un report sulla nuova immigrazione italiana in Australia, dal titolo, The Journey of ‘New Italian migrants’ (2004-2016) to Australia, gestito dal ricercatore Riccardo Armillei e dal professore Bruno Mascitelli.

Euro 2016: Parigi celebra il calcio!

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Di Milena Re e Valentina Piccoli, volontarie in Servizio Civile presso il Patronato Acli Parigi

 

Dal 10 giugno al 10 luglio si è svolta a Parigi la quindicesima edizione degli europei di calcio in Francia. Dieci sono state le città interessate dalle fasi finali del torneo: Lens, Saint-Denis, Parigi, Bordeaux, Lione, Nizza, Marsiglia, Tolosa, Saint-Étienne, Lilla e ventiquattro sono state le squadre a contendersi il titolo.

 

Già dal 10 maggio, e fino al 10 luglio, è stata allestita all’esterno dell’Hotel de Ville la mostra Football de légendes une histoire européenne che tramite gli scatti delle prodezze calcistiche di trenta tra i migliori calciatori di tutta Europa ci ha fatto rivivere la storia del calcio. Si ritrovano così in brevi testi firmati da scrittori, gli italiani Gianni Rivera nelle parole di Erri De Luca, Roberto Baggio nella descrizione di Roberto Saviano e i francesi Zinedine Zidane nel testo di Jean Philippe Toussaint e Michel Platini nel breve racconto che ne fa Bernard Pivot.

 

«Le Rendez-Vous» è stato lo slogan ufficiale della manifestazione e numerosi sono stati gli eventi collaterali che hanno animato per l’intero mese la città. Tra i primi appuntamenti il concerto di David Guetta del 9 giugno agli Champs-de-Mars per inaugurare la Fanzone della Tour Eiffel con milioni di persone pronte a cantare This One’s For You, canzone ufficiale del torneo. Le Fanzone, ad accesso gratuito, sono state allestite a Parigi e nelle diverse città della Francia per accogliere i tifosi con proiezioni dei match su maxischermo, animazione e zone interattive con «twitter wall».

La competizione si è aperta ufficialmente il 10 giungo con la cerimonia ufficiale allo Stade de France. Lo spettacolo, dedicato alla cultura francese, ha visto l’esibizione delle ballerine di can can, la musica di Edith Piaf e infine, la coreografia in cielo dell’Aereonautica militare francese.

Uno dei simboli degli europei di calcio è stato la Tour Eiffel, ogni sera illuminata con i colori della squadra più seguita sui social network.

acli parisSe il calcio è un’occasione per ritrovarsi e vivere le proprie origini, le Acli di Parigi hanno organizzato la proiezione delle partite presso la propria sede.  Questo è stato un modo per seguire e supportare la propria nazione, centrando uno degli obiettivi dell’associazione che è quello di essere un punto di riferimento per i migranti italiani all’estero.

 

E’ sempre la GMG

di Marco Rovere – Coordinamento Nazionale GA, Coordinatore GA Imperia

Ho ancora impresso negli occhi e nel cuore- e penso ci rimarrà per molto- lo spettacolo di persone e bandiere del Campus Misericordiae; in quel prato, ho potuto contemplare quanto, nello Spirito, la Chiesa sia bella, gioiosa, giovane, desiderosa, come ha detto il Papa, di “lasciare un’impronta”.

Lasciare un’impronta significa- secondo quanto ci ha detto il Papa- camminare su strade mai sognate e nemmeno pensate, su strade che possono aprire nuovi orizzonti, capaci di contagiare gioia, quella gioia che nasce dall’amore di Dio, la gioia che lascia nel tuo cuore ogni gesto, ogni atteggiamento di misericordia. Ci chiama ad andare per le strade seguendo la “pazzia” del nostro Dio che ci insegna a incontrarlo nell’affamato, nell’assetato, nel nudo, nel malato, nell’amico che è finito male, nel detenuto, nel profugo e nel migrante, nel vicino che è solo; ad andare per le strade del nostro Dio che ci invita ad essere attori politici, persone che pensano, animatori sociali. Che ci stimola a pensare un’economia più solidale di questa. In tutti gli ambiti in cui vi trovate, l’amore di Dio ci invita a portare la Buona Notizia, facendo della propria vita un dono a Lui e agli altri.

A noi, giovani impegnati nelle ACLI, viene, ancora una volta, un invito a riflettere e vivere la dimensione sociale, economica e politica della misericordia, a sperimentare nell’impegno per gli altri la dimensione del dono e della gratuità, a pensare che, per servire gli uomini, dobbiamo incontrare il Figlio dell’uomo, che servire gli uomini, anche e soprattutto nelle vicende temporali più concrete, è servire il Figlio dell’uomo.

Trovare casa a Bruxelles

di Isabella e Mariantonietta – IVO4all Bruxelles

Una delle sfide da affrontare quando ci si trasferisce all’estero è trovare un tetto sulla testa che ti faccia sentire il più possibile “a casa”. La nostra ricerca ha avuto inizio subito dopo l’arrivo a Bruxelles. Indubbiamente un primo punto da considerare è la necessità di essere sul posto per poter fare delle visite e guardare in prima persona lo stato dell’alloggio. In caso contrario, si potrebbe incorrere in brutte sorprese, per cui meglio armarsi di tanta pazienza e rimboccarsi le maniche!

Cominciamo col prendere i primi contatti tramite Facebook: il social media di Zuckerberg ci è servito tantissimo per sondare il terreno e capire cosa offrisse il mercato degli affitti della capitale belga. Passiamo pomeriggi interi a visitare i gruppi pubblici su Facebook Bxl à louer – de bouches à oreilles, Bxl à louer – de bouche à oreille II e ancora Bxl à louer e Colocation, appartements sur Bruxelles per farci un’idea e…le alternative non mancano affatto!!!

In città infatti c’è un ricambio vertiginoso dovuto al continuo via vai di stagisti delle istituzioni europee, studenti e lavoratori che scelgono Bruxelles perché polo di attrazione al centro dell’Unione Europea.

Tuttavia, nonostante le numerose offerte allettanti, riscontriamo non poche difficoltà per cercare soluzioni rispondenti ai nostri bisogni: il periodo di tempo inusuale di 4 mesi, un appartamento con 2 stanze disponibili, in quanto il nostro obiettivo era quello di condividere quest’esperienza all’estero anche sotto il profilo della vita quotidiana.

Dopo le giornate di lavoro in Patronato, cominciamo a familiarizzare con le vie e le metro. Dopotutto i risvolti positivi della ricerca di un alloggio stanno proprio in questo! Fissiamo molti appuntamenti durante i quali le lingue per capirsi vanno dal francese all’inglese e per finire l’italiano. Perché sono davvero molti gli italiani che vivono qui a Bruxelles!

Una delle case visitate molto carina in zona Porte de Namur ci stupisce pero’ per la “strana” distribuzione dei suoi spazi: la camera molto piccola, ma accogliente, la zona giorno ben curata e luminosa, ma per raggiungere il bagno è necessario compiere una vera e propria impresa! Salire una scala con gradini molto ripidi e stretti, tanto da costringerti a salire e scendere lateralmente, a mo’ di granchio 😀

Questa non è stata l’unica sorpresa riscontrata in giro: una delle stanze viste a Sainte Catherine ci interessa particolarmente per ubicazione e zona limitrofa, ma…Nella stanza non vi è il letto, tocca attrezzarsi in altro modo… A Bruxelles, infatti, nella giungla degli affitti non è detto che le stanze siano ammobiliate. Per cui bisogna badare a quest’aspetto con cura…

Ovviamente rifiutiamo l’offerta e andiamo avanti e dopo pochi giorni finalmente troviamo la casa ideale per noi: a 10 minuti a piedi dalla nostra sede di lavoro, ci trasferiamo nel quartiere Saint-Josse-Ten-Noode ben servito da metro e altri mezzi pubblici, attività commerciali e aree verdi dove poter trascorrere il nostro tempo libero. Addirittura abbiamo un lusso in casa, che non è per nulla scontato qui a Bruxelles: la lavatrice!

Il nostro obiettivo è stato raggiunto! Missione compiuta!

 

Le luci di Parigi

di Milena Re – Servizio Civile ACLI Parigi

Arrivare nella splendida ville lumière è stato per me un rinnovato inizio di un’esperienza già intrapresa un anno fa che mi aveva segnato una prima volta, ma che adesso sta assumendo sfumature nuove e inaspettate.

Sono di nuovo a Parigi in qualità di volontario del servizio civile che sto svolgendo al Patronato Acli. Da poco più di un mese sono coinvolta in questa esperienza che mi sta permettendo di conoscere una realtà nuova, quella del patronato, e di apprendere dalla professionalità e competenza dei miei colleghi. Essere un volontario di servizio civile significa donare il proprio contributo, entusiasmo e dinamismo e mettere a disposizione le capacità personali.

Ogni giorno ho l’opportunità di incontrare i miei connazionali che un tempo emigrarono a Parigi e che oggi arrivano nei nostri uffici con tante necessità e richieste. Ogni volto porta con sé una storia diversa e ogni storia riflette svariate emozioni. Tanta è la voglia di ascoltare, conoscere, imparare e infine testimoniare ciò che si è appreso da ogni storia.

C’è oggi una nuova generazione di migranti, motivata da bisogni simili a quelli che spinsero i nostri nonni a migrare. La ricerca di punti di riferimento e la speranza di un futuro migliore sono le principali necessità di cui l’uomo ha avuto sempre bisogno e che oggi reclama fortemente.

Quella del servizio civile è un’esperienza di vita fatta anche di momenti difficili e di situazioni inspiegabili. Quello che sta accadendo questi giorni a seguito degli attentati terroristici è solo una brutta parentesi di una storia che deve avere tutt’altra fisionomia. Parigi, la Francia e il mondo intero non devono subire tutto ciò. Esprimo la mia sincera solidarietà a tutte le vittime e a tutti i loro cari.

Inoltre, la mia esperienza è solo agli inizi e il cammino è lungo e ricco di nuovi incontri. Se il servizio civile si presenta come un’opportunità per dedicare un anno della mia vita a favore di un impegno solidaristico e di coesione sociale, vorrei terminare citando le parole di Mahatma Gandhi il quale dice: “Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo ”.

I colori dell’Olanda

di Alessia Santopaolo e Gabriella Mancuso -Servizio Civile ACLI Olanda

E’passato gia’un mese da quando un cielo azzurro con un sole timido ci ha accolto in terra fiamminga.

Tra valigie pesanti e tanti pensieri per la testa, uscendo dall’aereoporto internazionale Schiphol di Amsterdam, una distesa di campi verdi e rurali ci accolse e diede il Welkom al nostro Servizio Civile.

Camminando tra le vie romane della citta’di Utrecht e’ facile sentire il profumo di cannella e di zenzero che ci accompagnano lungo l’andare tra i palazzi colorati e le chiese storiche protestanti, tra un caffe’ e un the’ da prendere rigorasamente all’aperto lungo il canale nonostante il vento.

Le prime settimane la nostra casa temporanea era distante dal lavoro, le nostre mattine iniziavano all’alba, che con i suoi colori spettacolari ci dava il buongiorno e di colpo era facile ritrovare i profili campestri e le sfumature tanto amate e odiate da Van Gogh nei suoi dipinti.

Tra un bus e una pedalata, tra la ricerca della casa definitiva e le pratiche burocratiche, non e’stato facile ambientarsi subito e lungo la via delle Indie, come in una puntata di Pechino Express, sono iniziate le prove di sopravvivenza ai ritmi e alle abitudini olandesi come:

1) Cercare di non essere investite dallo sfrecciare delle infinite bici che danno colore e ritmo con il suono dei campanelli alle strade rettilinee e grigie della citta’;

2) Abituare il proprio metabolismo all’obbligata cena delle 18:00 e affrettarsi per guadagnarsela prima della rigida chiusura delle cucine;

3) Affrontare la convivenza con eventuali piccoli amici amanti di formaggio che qui sono visti come semplici animali domestici.

Fortunatamente abbiamo trovato spesso l’aiuto e il supporto, ma a volte anche solo un po’ di compagnia, dei nostri conterranei, che ci hanno accolto e che sono riusciti a trasportarci in un’ atmosfera familiare.

Con sguardo curioso e con attenzione abbiamo poi iniziato l’esperienza presso il Patronato delle ACLI, riuscendo a comprendere come dietro ad ogni nome, cognome e dialetto ci fosse una storia di migrazione, ognuna unica e particolare.

Attraverso l’ascolto delle parole saggie degli anziani e attraverso gli occhi pieni di estro e di voglia di fare dei giovani italiani, abbiamo scoperto qualcosa in piu’ che ha arricchito le pagine del primo capitolo del nostro Servizio Civile.

Dietro ad ogni ruga bagnata da lacrime di vita vissuta e dietro ad ogni viso appena arrivato, abbiamo letto l’entusiasmo, il coraggio, la forza, il talento, la soddisfazione o la sconfitta nell’aver scelto l’Olanda come nuova patria per poter realizzare i propri sogni, con il cuore sempre rivolto verso il sole.

 

 

 

 

 

Le mille facce di Buenos Aires.

Jessica e Veronica – Servizio Civile Acli Argentina
 

La nostra esperienza da civiliste inizia ancor prima di metter piede sul suolo sudamericano.

 Nell’ansia e nella noia dell’attesa del volo AR1141 di Aerolinas Argentinas diretto all’aeroporto internazionale Ministro Pistarini abbiamo avuto il piacere di relazionarci con persone che, sentendoci dialogare in italiano, hanno voluto condividere con noi spaccati di vita vissuti tra il Vecchio e Nuovo Mondo. I loro sorrisi e sguardi complici ci hanno fatto capire che, prima di tutto, l’anno di servizio civile sarebbe stato un’esperienza umana intensa.

 Il tragitto dall’aeroporto al centro ci ha fatto gradualmente assaporare il “quilombo” argentino: strade a otto corsie, auto impazzite, limiti di velocità ignorati, centauri slalomisti nel traffico e palazzoni anneriti dallo smog.

 Dopo esserci munite dell’indispensabile tessera del trasporto pubblico e della Lonely Planet ci siamo avventurate alla scoperta della giungla urbana. Gli aspetti che ci hanno maggiormente colpito e che si discostano dalle consuetudini italiane sono sicuramente il profumo costante di asado che inebria le strade, le code ordinate in fila indiana che si formano alle fermate degli autobus (e guai se provi a fare il furbetto!), i ritmi rilassati di commessi, baristi e camerieri ai quali poco importa se stai aspettando il tuo cafe’ con leche y medialunas da circa mezz’ora e le urla in Avenida Florida degli “addetti” al cambio valuta al mercato nero che s’immedesimano a tal punto nella parte da sembrare capo ultrà del Boca Junior.

 L’accoglienza in ufficio è stata molto calorosa. Non abbiamo incontrato difficoltà ad ambientarci, grazie ad un gruppo giovane e affiatato.

Più ostico è stato l’approccio al porteño (spagnolo locale), che si è rivelato essere molto differente in quanto a pronuncia e significato allo spagnolo ufficiale, tanto che i colleghi ci hanno fatto un corso accelerato di parole e termini da evitare assolutamente!

 Da Buenos Aires per ora e’ tutto!!

Uno sguardo su Karlsruhe

di Alessandra Reali e Chiara Valevano

Stiamo vivendo qui in Germania da quasi un mese, e solo in questi giorni possiamo dire di aver trovato un ritmo di vita regolare.

All`inizio abbiamo dormito in un ostello, dove ogni giorno facevamo amicizie diverse e ci scambiavamo consigli e ansie sul trovare casa, mangiavamo solo da Macdonald e nei chioschetti sulla strada, rimpinzandoci di berliner e Schwarzwald kuchen, mentre il caffè italiano era ormai un bene di lusso, ma al bar dovevamo ordinarlo perché era il fantasma di un`abitudine.

L`ufficio dove lavoriamo ci ha accolto come delle pecorelle smarrite, e noi ci siamo sentite le benvenute all`istante. Nessuno nasce imparato e quindi c`è stato e ci sarà un grande lavoro da fare, e per adesso siamo molto soddisfatte della nostra scelta.

Trovata la casa e cercato un corso di lingua, possiamo dire che la nostre vite si sono aggiustate al ritmo di vita tedesco, alle figuracce delle incomprensioni e alle risate con le colleghe, che ci lasciano solo intravedere la nostra effettiva crescita all`estero in questo brevissimo lasso di tempo, assieme al nostro punto di vista su tanti emigrati italiani di cui ascoltiamo le storie e le loro difficoltà.